#opinioni impopolari
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Sto maturando opinioni molto impopolari, al limite dell’inesprimibile, su cosa sta diventando l’offerta didattica italiana, scolastica e universitaria. Senza dilungarmi, perché non ne ho intenzione né le forze necessarie a farlo, in perfetto allineamento con quanto ne pensa Yasmina Pani trovo anch’io ridicolo che sia la scuola che l’università rendano forzata l’alternanza studio/lavoro come se le due dimensioni dovessero necessariamente coesistere, alla angloamericana. Ed è forse proprio da qui che discendono tutti gli altri mali che stanno rendendo scuole e università irredimibili diplomifici – non troppo diversamente dalle tanto disprezzate università telematiche, dopotutto. Non noto differenze significative. Trovo ridicolo, ad esempio, che in un corso di studi evidentemente incentrato su di un certo ambito debba entrare per vie traverse tutto un calderone di insegnamenti ritenuti globalmente indispensabili come se si fosse, appunto, in un liceo statunitense in cui, perché no, diamoci al cheerleading, al teatro e al baseball e poi non sappiamo se Parigi stia in Francia o in Italia. Ed ecco come un corso umanistico si ritrova ad ospitare le più disparate discipline perdendo così una settorialità già raramente e faticosamente riconosciuta come tale – figuriamoci poi in vista di una futura, eventuale professionalità. E allora ci si ritrova – senza per questo nulla togliere alle discipline in questione e alla loro innegabile attualità – insegnamenti come prevenzione del rischio sismico o sostenibilità ambientale, rigorosamente in lingua inglese perché non trovarsi in suolo anglofono è ormai stato reso del tutto pari al trovarcisi.
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Oggi ho deciso di condividere un qualcosa che leggo su Substack e che parla di videogiochi in una maniera molto particolare. Spesso non si fa problemi a dire cose scomode in faccia a tutti o a dare opinioni impopolari ma sempre con una riflessione dietro, mai per il gusto della polemica.
Se potete iniziate a seguirli, iscrivetevi alla newsletter e, se avete più fondi del sottoscritto, iscrivetevi al loro Patreon.
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unpopular opinion: ermal ha iniziato a seguire fabri su insta nella speranza di placare gli animi di tutte le shipper bimbeminkia su twitter che piagnucolano per qualsiasi cosa. e, appunto per questo, non mi sembra un'azione tanto spontanea da parte sua. da ora in avanti, potrei cominciare a vedere ciò che riguarda ermal e fab con occhio leggermente diverso, nel senso, "lo faccio/facciamo per il fandom così se stanno un po' zitti"
IL MIO GROSSO GRASSO DISCLAIMER:
Blacklistate la tag —Twitter drama— che d’ora in poi coprirà tutte le opinioni impopolari relative a, guess what: Twitter, se sentirne parlare vi dà noia in qualche modo. Non si fanno giudizi, si accettano tutte le opinioni. K thx bye.
FINE DISCLAIMER
Dunque, anon. Sono sicura anch’io che, almeno in parte, le sue azioni siano state dettate dalla - comprensibile - volontà di non sentirsi dare dello stronzo insensibile perché non ha dichiarato subbitoimmediatamenteh su Twitter quanto è bravo il suo fratellone. Le bimbeminkia mica si fermano a pensarci, che magari gli ha scritto/parlato in privato come fanno le persone normali con i loro amici e colleghi, no, giudicano solo da quanto e cosa vedono su Twitter, e se quello che vedono non corrisponde alle loro aspettative, GUERRA. Su tutti i fronti. Tutti contro tutti, ne resterà soltanto uno.
Posso anche capire che cerchino conferma ai loro headcanon, ma lo fanno nel modo peggiore. In un modo altamente tossico per loro e per tutto il fandom. Nel modo che io non giustifico e che mi fa dire sempre che realtà e fantasia devono restare separate. Naturalmente questo NON vuol dire che crederci davvero=essere bimbeminkia a prescindere, NO. Se è per quello, hanno fatto un sacco di casino in tante occasioni pure persone che detestano il concetto stesso di ship - ma magari non disdegnano essere moleste e inopportune in altri modi. Vuol dire solo che ci vogliono rispetto e senso della misura. A quelle shipper mancano, non si può negarlo. A loro importa solo il contentino su Twitter.
E uno che può fare, se non darglielo? Stare a sentire polemiche infinite? Lasciarsi bistrattare? Il gioco non vale la candela. Meglio scrivere due parole, anche se superflue, e pigiare un tastino follow. Ha fatto bene, tanto sui social NIENTE (o quasi) è spontaneo. Gestire un profilo pubblico è una vera e propria scienza. Anche il fatto che pubblichino ormai praticamente in sincrono fa parte di questa scienza. Non sono nati ieri, sanno che i loro fandom sono ormai molto vicini e quasi unificati - a parte delle sacche di resistenza - e postando a pochi minuti uno dall'altro massimizzano le visualizzazioni e l’assorbimento delle news da parte del pubblico, aiutandosi e supportandosi a vicenda.
A molte persone sembrerà un’analisi fredda e negativa, già lo so. Forse anche a te, che mi parli di “vedere le cose con occhi diversi”. Bene, è giusto, è così che la devi vedere. Davvero: è solo scienza dei social. Ma non è una cosa terribile, non inficia il loro rapporto umano nel privato, non vuol dire che non si vogliono bene e non si stimano davvero, non significa nulla, soprattutto non è roba con cui alimentare fantasie di litigi, odio, amori non corrisposti e cose che stanno bene solo nelle fanfiction. Quando si capisce questo tipo di dinamica, si vive più serenamente la vita da fandom. Bisogna essere PO-SI-TI-VI, diamine. Ma anche un minimo razionali.
Non lasciarti contagiare dalla negatività, anon: non ce n’è ragione.
Ciao, e grazie per il tuo contributo ;)
#we need to talk about:#metamoro#twitter drama#và pure in maiuscolo così se vede bene#blacklistate a manetta se non è gradito#opinioni impopolari#anonymous
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La guida del cinefilo fighetto è molto semplice, potete seguirla tutti se volete: 1) seguite i registi considerati famosi e guardate tutti i loro film 2) guardate i film che hanno fatto più scalpore negli anni, nei festival del cinema Fatto. Avete finito.
— The man in the corner of your eye 🌹 (@Tengu86) 19 aprile 2018
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Opinioni (molto) impopolari
NOTA BENE per chi legge:
Se hai una mentalità chiusa, non accetti altre opinioni e/o pensi di iniziare a sbroccare, commentare in modo volgare e/o insultare e quant’altro, puoi benissimo ignorare il post e andare a leggere o guardare altro. Anche perché mi sembra inutile sprecare “fiato virtuale”, dal momento che tu non la penserai mai come me, e io non la penserò mai come te. Non trovi?
Ognuno di noi ha paura di qualcosa. Io ho paura della gente, se “paura” è il termine giusto.
In questi mesi, sono restata a casa, come tutti gli altri. Le differenze? Tutti lo facevano per rispettare le norme, lamentandosi di non poter uscire; io mi ero già “auto-esiliata”, ben prima di questo caos che, ad avviso mio e di altri, è in gran parte una farsa. Sì, ci sarà qualcosa di vero, ma è talmente esasperato, che mi chiedo: se arrivasse davvero qualcosa di peggiore? Se stesse per finire il mondo, staremmo tutti con il cellulare alla mano, per scattare l’ultima foto o fare l’ultimo video? Staremmo ore e ora davanti alla TV, guardando scemenze o guardando il telegiornale, consumandoci psicologicamente fino all’ultimo?
Io vedo tanta ipocrisia. Fino a quando non c’era questa cosidetta emergenza, il primo che incontravi per strada, o il primo a cui commentavi sui social, era pronto a sparare merda su di te o su chiunque. Adesso no, magicamente siamo tutti solidali... Che strano.
Eppure nessuno vede. Il 99% dell’umanità preferisce conformarsi, unirsi al gregge. Tutti parlano, nessuno agisce. E chi vuole agire, non può, perché non viene né ascoltato né preso in considerazione. Un solo uomo non può cambiare il mondo.
Ma epidemia a parte, sto parlando in generale.
Tutti che si lamentano per un motivo o per l’altro. Non c’è lavoro, o non si viene pagati bene. Non si riesce a sopravvivere. Come faccio a lavorare con i figli piccoli? Che governo..., la criminalità, le banche, la sanità. Chi più ne ha, più ne metta.
Quando qualcuno decide di fare qualcosa, ci riesce, ma a metà. Non si va avanti, non si porta avanti, ci si ammutolisce. Perché? “Perché NON voglio metterci la faccia”, “Perché non voglio altri casini”, “Perché perdo il lavoro”, “Perché questo e quest’altro”.
Così finisce in nulla, nessun cambiamento, nessuna rivoluzione. Stessa vita, stessi problemi, stesse lamentele.
Forse stiamo ancora troppo bene, per andare fino in fondo?
Ma quando staremo troppo male, potrebbe essere già molto peggio di ora...
Ma dove sono finite le rivoluzioni che hanno fatto la storia? I popoli che si univano, organizzavano rivolte, pacifiche o meno, e poi ottenevano risultati, arrivando ai loro obiettivi?
I problemi dell’umanità, ad oggi, sono l’ignoranza, la mente chiusa più di un bunker, fanatismo religioso (sì, c’è ancora, purtroppo), credenza assoluta in ciò che si vede e si sente (politica, notizie, ecc). Società puntata all’omologazione (in tutti i campi).
Manca proprio il pensiero. Il pensare con la propria testa. Ma i “cattolici”, hanno letto bene tutta la Bibbia? Sanno che è un libro storico? Non mettete nulla in discussione? Informatevi bene, poi ne riparliamo. Senza contare le atrocità commesse dalla Chiesa, senza contare che i soldi del Vaticano risolverebbero i problemi di mezzo mondo, a dir poco... E voi cosa fate? Gli date le offerte?! Ok, allora perché vi lamentate di non avere soldi? Fatevi delle domande.
Io non pretendo di sapere cosa c’è o chi c’è dopo la morte, né sono atea. Ho le mie idee, che non sono certo le favole che racconta la Chiesa per mantenere buono il gregge.
La gente guarda la TV e si beve tutto allegramente, come fosse oro colato.
Si è amici per modo di dire, non più veramente.
Si fuma (sigarette o altro), perché “fa figo”, perché “anche gli altri lo fanno”. Questa forse è l’unica trappola in cui sono caduta, in momenti meno lucidi di questo. E maledico il giorno in cui ho iniziato, ti porta via soldi che potresti impiegare per qualcos’altro, che magari vorresti, ma non puoi averlo.
E “vivere” senza stipendio è ancora peggio.
Se non ti conformi con nessuna ideologia, sei un pazzo o sei un povero deficiente. Non puoi avere idee tue. O meglio, le puoi avere, ma per vivere in mezzo agli altri, devi tenertele per te, sperando all’infinito di venire a conoscenza di qualcuno che la pensa come te, o simile.
Lo stesso discorso vale sia per le “amicizie” che per la famiglia.
Famiglia che ti educa in un certo modo - certo, c’è anche chi educa (magari involontariamente, non lo so) a una vita criminale.
Devi essere così, gentile, pacato e tutte le altre caratteristiche zuccherose. Non devi arrabbiarti. Non devi insultare. Devi studiare. “Devi” avere un/una fidanzato/a (implicito). Devi sposarti, o quantomeno convivere con lui/lei.
Ah, attenzione. Non puoi essere gay, né lesbica, né bisex, né trans, né quel cavolo che vuoi essere. Vuoi esserlo lo stesso? Ok, io non ti riconosco più. Non ti parlo più, non sei mio/a figlio/a. Questo nel “migliore” dei casi...
Per fortuna, non ho subito violenze né dai genitori né da altri, per questo tipo di vita. Ma comunque, non ho ancora potuto esprimermi sui miei reali interessi. Ancora non so cosa sono, “grazie” ai genitori.
Mio padre diceva “Se avessi un figlio gay, non lo riconoscerei, non ci parlerei più.”. Nel mentre, ero una adolescente che stava segretamente con una ragazza.
Ho avuto problemi psicologici, abbastanza gravi. E sono durati anni. Tuttora penso che non si siano risolti del tutto.
Mi sentivo in “dovere” di essere “normale”, di essere “etero”.
Mi sentivo in dovere di apparire carina e curata, con i capelli almeno abbastanza lunghi e lo smalto ecc, ecc...
Poi mi sono detta “no”, una prima volta. Forse sono bisex?, mi sono detta.
Dai discorsi che facevo con mia madre, mi sembrava chiaro che fosse di mentalità aperta. Ma cosa è successo, quando ho detto a lei e al suo nuovo compagno, che ero bisessuale?
Caos. Le loro risposte sono state sconcertanti. “No, non è possibile!” “O ti piace una o ti piace uno.” “Cosa vuol dire, che vai con tutti?!”
Ogni tentativo di far capire che non ero una puttana, è stato vano.
Ho rinunciato, tornando a fare l’etero. E collezionando delusioni e fallimenti.
Già da bambina, o adolescente, ricordo... Avrei voluto avere un corpo maschile. “Ovviamente”, non l’ho mai confidato a nessuno, fino ad ora. Per fortuna, qualche medico intelligente ti ascolta meglio che i genitori o altre persone...
Per farla breve, non ho mai capito da che parte ero, forse a causa dei miei.
Continuamente giudicata per i miei gusti, o comportamenti, o idee ed opinioni.
Probabilmente, col senno di poi, non avrei dovuto confidare nulla a loro. Forse avrei trovato la strada da me. Ma purtroppo, non è andata così.
E mi ritrovo a respingere qualsiasi tipo di contatto, sia con i miei, sia con altre persone.
Mi chiedo:
“Perché la gente fa figli? Per fargli vivere una vita che loro non hanno avuto? Per non essere soli quando saranno troppo vecchi?”
Ti “educano” in modo che tu sia conforme al resto del mondo. Non importa se giusto o sbagliato.
Forse, per un po’, ti sembrerà che loro ti facciano solo del bene.
Ma non è così. La dura verità è che nessuno fa “solo del bene”.
Perché vuoi un figlio? Per “addomesticarlo” come vuoi tu? Per vestirlo come vuoi tu? Per veder realizzate cose che tu non sei stato in grado di realizzare? Solo perché hai l’ormone della maternità?
Per poi lamentarti del suo carattere, idee, atteggiamento e un milione di altre cose.
La libertà non viene insegnata. Da nessuna parte. Non troverai questo insegnamento. La libertà ce l’hai “nel sangue” o non ce l’hai.
O sei una pecora o sei un lupo.
Se sei una pecora, è più probabile che tu trovi altre pecore.
Se sei un lupo, è molto meno probabile che trovi i tuoi simili.
E mi chiedo:
“Perché la gente va a convivere?”
Quando ci sono altissime probabilità che prima o poi si litiga, con più o meno frequenza, che ci si urla dietro, che non ci si sopporta, che ci si rompono le scatole anche solo in due sotto un tetto...
Non è vero che nessun uomo è un’isola. E’ la solita retorica della società.
Tutti siamo isole, e ciasciuno di noi decide che altra isola visitare.
Molti pensano che essere soli sia brutto, sia triste, o da sfigati.
Io no. La maggior parte delle volte in cui ero completamente sola... lì ero in pace.
Stare con gente che non apprezzi, che non ti apprezza (in segreto o meno), con cui esci solo per non stare solo, per andare in giro con qualcuno, per divertirti... ma non c’è una vera amicizia, non c’è un vero legame, una vera comprensione... Questo è da sfigati. Sei ugualmente da solo anche se sei in compagnia, solo che ti sembra che non è così. Siete voi i veri perdenti.
E lo dico a nome di tutti/e che sono come me, soli. Che magari si sentono meno degli altri per questo.
Non è vero, non credeteci. La società vuole essere un gruppo. Basta dare un’occhiata ai centri commerciali, o in spiaggia a luglio-agosto.
La gente cerca apposta altra gente, mette il suo cazzo di asciugamano vicino al tuo, così, perché le va di sentire chiacchiere, di vedere qualcuno. Potresti anche non essere tu, però. Chiunque va bene, basta che si siano altre persone e chiacchiarare di stronzate o origliare e giudicare tutto il tempo.
Sapete cosa? Lasciateli parlare. Lasciategli credere che siano migliori di voi. Ma sappiate che loro sono i perdenti, il cosidetto gregge che dicevo poco fa. E voi siete eroi, contro un mondo che ormai accetta solo l’omologazione, ovvero le pecore.
E non piangete per questi dementi. Né per qualcuno che vi ha abbandonato. Odiatelo, detestatelo. Ma non fatevi del male a causa di questo cretino. Amico/a, fidanzato/a, bulletto/a di turno, o chiunque altro.
Volete piangere per qualcosa che ne valga davvero la pena?
Piangete la morte di un animale, uno vostro, uno di altri, uno randagio, uno maltrattato o massacrato.
Gli animali sono i veri umani. Loro sono, e basta. Non fanno le cose per secondi fini. Non uccidono per motivazioni psicologiche e/o passionali, uccidono per mangiare o difendersi.
Piangete pure anche per le piante, se volete. Pure quelle sono migliori di noi “umani”.
Gli umani hanno creato la società, i soldi, il potere. Tutto ciò che c’è di maligno. Poche buone cose sono state fatte e da poche persone meritevoli del nome “umano”.
Purtroppo, la vita umana è più lunga di quella di un animale. Sarebbe bello, a volte, se fosse il contrario. - Una di 29 anni
#racconto#racconto lungo#esperienze personali#vita#mondo#società#idee impopolari#opinioni impopolari#argomenti diversi#sessualità#religione#libertà di pensiero#lgbtq
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Scrivetemi le vostre opinioni impopolari.
#sorrisicollaterali#ask me#ask box#scrivetemi#message#me#test#domande#compagnia#noia#frasi#parole#pensieri#opinioni#impopolari#better than ever
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// non capita spesso che io esprima le mie opinioni su argomenti seri su questo blog, in fondo ho un main blog utilissimo per lo shitposting come per i pensieri seri, ma oggi mi è malauguratamente capitato di vedere delle hot take™ su Instagram e volevo sfogarmi/condividere i miei pensieri al riguardo qui.
Siamo a poche ore dal 2020 e ancora c'è gente che seriamente crede che al Sud nulla sia viabile, studio o lavoro che sia? E parlo di chi al Sud ci è nato e cresciuto e che dovrebbe sapere quanto può valere questa terra -- non di quelli che scherzosamente chiamo "polentoni" e che poi spesso si dimostrano molto più rispettosi verso il Sud dei soggetti di cui sopra.
L'emigrazione dal Sud verso il Nord è un problema serissimo, che ci prosciuga di quelle risorse di cui necessitiamo per migliorarci e risolvere i nostri problemi, e voi davvero volete portare avanti questo circolo vizioso in modo acritico? Se davvero credete che al Sud non si possa campare, mi dispiace infinitamente per voi, ma al posto di lamentarvi unitevi a chi al Sud ci rimane e spaccatevi il culo per cambiarlo insieme a noi -- ve lo giuro, non vi ucciderà stare giù per più di due settimane di ferie.
Su questa nota involontariamente amara, vi auguro una buona fine e un buon principio e dei felici anni '20: che siano migliori degli originali per tutti noi. 💖
#// EDIT: vabbè se dovete fare flame pure su tumblr lo cancello sto post lmao scema io che pensavo di poter dire ciò che penso#// ot ma non troppo#// ooh gio attenta con delle opinioni così impopolari#// non linciatemi in pubblica piazza grazie#// chiaramente nulla di tutto questo è diretto a gente che seguo qua -- solo a quel cesso che è instagram
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Okay allora due pensieri buttati qui:
Ho come il presentimento che lui sia bruttissimo ma a me fa un sesso pazzesco e quindi chemmene che è bruttissimo.
Poi a sentire le parole che usa secondo me è un po' CAF (by esperta in lingua napoletana).
La cosa che non esce la faccia la trovo una cagata assurda, same per la scelta dell'inglese gettato tipo prezzemolo nella pasta. Ah quasi dimenticavo che odio chiunque gli faccia le basi (cfr a JE TE VOGLIO BENE ASSAJE).
Detto ciò questa canzone qui e NOVE MAGGIO sono proprio carine e nonostante lui parli sempre dello stesso argomento hanno una mood molto settembrina.
Btw quando mi chiamano 'piccerè' io mi sciolgo.
#liberato#sono#una critica#di#musica#ciao#io#me#però le#riflessioni#musicali#musica indie#indie italiano#napoletano#opinioni#probabilmente#impopolari#però vabbè#pensieri#parole
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Facciamo un gioco: elencami quattro tue opinioni impopolari
Ciaoo :)) 🌼
YAY anon simpy, che bello! Allora:
La senape fa un po' skif :(
Witch >>> Winx
Trovo l'intimo rosso snervante
Non capisco come possano piacere così tanto le cose profumate alla lavanda o vaniglia boh esistono profumi così tanto più buoni
Grazie 💞
(ci tengo a dire a @squittire che è stata dura non copiare 3/4 del suo)
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Questa crisi di Gerusalemme conviene quasi a tutti
Netanyahu, Abu Mazen e Hamas beneficiano dell’inasprimento delle tensioni. I paesi arabi sostenitori degli Accordi di Abramo supereranno l’imbarazzo, mentre Erdoğan può mostrarsi interessato ai luoghi santi. Il sorriso dell’Iran. Unici sconfitti, i palestinesi.
di Lorenzo Trombetta
La “crisi di Gerusalemme” e i suoi sanguinosi sviluppi a Gaza e dintorni possono apparire come l’ennesima puntata di uno scontro politico e identitario senza fine tra Israele e Palestina. Eppure il contesto locale e quello regionale offrono degli elementi inediti, che rendono gli eventi in corso parte di una dinamica dai contorni poco prevedibili.
Come in ogni inasprimento di tensione, emergono degli attori interessati a sfruttare la situazione di violenza e di radicalizzazione retorica a proprio favore. Sul piano politico interno palestinese e israeliano questi attori sono proprio quelli dominanti.
A partire dal primo ministro israeliano Binyamin Netanyahu, che non riesce a imporsi nelle ripetute tornate elettorali e deve fare i conti con la presidenza di Joe Biden, intenzionata a gestire l’Iran in maniera diversa rispetto all’amministrazione precedente degli Stati Uniti d’America. In quest’ottica, sostenere l’elemento sionista più radicale e provocatore attorno a Gerusalemme è una mossa tanto consumata quanto valida per spingere il confronto sul lato dell’uso massiccio della violenza.
Quando si tratta di fare la guerra, Israele è una potenza quasi incontrastata. E certamente nei Territori palestinesi le Forze armate israeliane non hanno pari. Anche in termini di repressione poliziesca, il monopolio della forza è in mano allo Stato ebraico.
In Palestina, il rinvio delle tanto attese elezioni legislative e presidenziali sembra esser stato deciso anche per far salire al massimo la temperatura di una società allo stremo economicamente e senza prospettive sociali, priva del minimo strumento di rappresentatività e inclusione.
La questione di Gerusalemme, lasciata scoppiare nel momento di massima tensione collettiva e a pochi giorni dalla fine di Ramadan, il mese islamico del digiuno, è da molti decenni uno degli strumenti più efficaci dei leader palestinesi per incanalare verso l’esterno la rabbia e la frustrazione di una popolazione abbandonata al destino dell’occupazione, della deportazione, dell’esclusione, della privazione dei diritti.
Sia l’Autorità nazionale palestinese del presidente Mahmud Abbas (Abu Mazen) sia Hamas, sebbene con retoriche e atteggiamenti apparentemente diversi, traggono beneficio – almeno nel breve termine – dai drammatici sviluppi in corso. In un contesto di graduale crisi della loro legittimità, la questione di Gerusalemme toglie le castagne dal fuoco ai potenti di Ramallah e di Gaza.
Sul piano regionale, nessun attore è danneggiato da quanto sta succedendo. Piuttosto, ci sono leadership politiche che beneficiano degli eventi in corso e altre che, non senza imbarazzo, rimangono per ora a guardare in attesa di sviluppi.
L’Iran, principale sostenitore del Jihad islamico a Gaza e detentore di un legame tattico con Hamas, può soffiare con maggior efficacia sulla retorica del “Giorno di Gerusalemme” per rafforzare la propria posizione di apparente intransigenza e “resistenza” contro il nemico sionista. Gli Hezbollah in Libano e le milizie irachene filo-iraniane riescono con maggior facilità a spostare l’attenzione delle opinioni pubbliche di Beirut e Baghdad, esasperate da crisi economiche senza via d’uscita, illuminando gli eventi di al-Aqsa – terzo luogo santo dell’Islam – per oscurare le difficoltà attraversate nei contesti domestici.
Nei giorni scorsi, gli Hezbollah libanesi avevano lanciato vari messaggi tramite i propri canali politici e mediatici. Invitavano alla massima allerta lungo il confine meridionale, in corrispondenza di quella che era stata annunciata come la maggiore esercitazione militare israeliana degli ultimi anni. Nelle ultime ore, un presunto collaboratore di Hezbollah è stato preso di mira sulle Alture siriane del Golan in raid aerei attribuiti allo Stato ebraico.
Anche la Turchia, che come l’Iran aspira a un ruolo di leadership politica a tinte islamiche, trae vantaggio indiretto dal carnaio di Gaza e dalla polarizzazione identitaria attorno a Gerusalemme. La retorica populista consentirà al presidente turco Recep Tayyip Erdoğan di mostrarsi genuinamente interessato alla difesa dei luoghi santi.
I luoghi santi, appunto, chiamano in causa l’Arabia Saudita. Che può forse apparire in imbarazzo ma che ha da tempo superato ogni remora nel prendere decisioni che sembrano impopolari nel contesto arabo-islamico. Riyad è in questi giorni impegnata a ricucire con la Siria del presidente Bashar al-Asad, alleato degli Hezbollah, e a confermare l’avvenuta riconciliazione col Qatar, sostenitore di Hamas. Soprattutto, la dirigenza saudita ha avviato ad aprile a Baghad colloqui con la controparte iraniana. Vista da Riyad, la crisi di Gerusalemme è da seguire con attenzione ma sono lontani i tempi in cui l’establishment saudita svolgeva mediazioni e si ergeva a paladino della causa palestinese.
I paesi che hanno normalizzato i rapporti con Israele, siglando gli accordi di Abramo nei mesi scorsi, non avranno enormi difficoltà a gestire l’apparente imbarazzo. Egitto e Giordania, in “pace” con lo Stato ebraico rispettivamente da 42 e 27 anni, hanno superato due intifada e numerose campagne militari israeliane su Gaza senza veder mai scosse le stabilità delle loro strutture di potere sotto i colpi del dissenso popolare solidale con la causa palestinese.
L’amministrazione Usa di Joe Biden, infine, è sicuramente l’attore esterno che viene messo alla prova in maniera più esplicita. E che finora ha tenuto un profilo estremamente cauto. Washington rimane l’alleato di ferro di Israele in Medio Oriente. Alcune decisioni prese dall’ex presidente Donald Trump non saranno sconfessate da Biden, che pare interessato non tanto alla questione israelo-palestinese, quanto al negoziato con l’Iran.
I grandi sconfitti sono la società palestinese e alcuni segmenti di quella israeliana, in forte dissenso con le pratiche repressive e discriminatorie dello Stato ebraico. Invece di prepararsi ad andare al voto, i palestinesi di Cisgiordania e Gaza si ritrovano a fare le barricate, a temere la morte e l’arresto, a urlare slogan identitari ed esclusivi che li escluderanno ancora di più dalle stagioni politiche future. Quando ad alzarsi è la “voce della battaglia”, le altre voci non riescono a farsi più sentire.
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ciao adrian, non è l’11 ottobre il coming out day? (e comunque tanta stima e tanto affetto per te 💙)
ehi ciao! :D sisi ufficialmente si. Ma un po’ di gente si è messa ad usare la stessa cosa per coming out idioti (tipo che ti piace la cipolla, non so, opinioni impopolari) un po’ di altra gente di noi LGBTQ ha rimesso post di coming out per non spreccare il tag per cose stupide che non c’entrano con il coming out
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Facciamo un gioco: elencami quattro tue opinioni impopolari
Ciaoo :)) 🌼
- Shrek fa cagare
- Kendall Jenner se non fosse per i soldi sarebbe a vendere i panini al mc perché in quanto modella fa cagare
- le pokè fanno cagare
- 2001 odissea nello spazio è il peggior film di Kubrick e fa anche un po’ cagare
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specifico meglio cosa intendevo: io adoro i metamoro, leggo sempre le fic, ma non mi va che ogni loro comportamento debba sempre essere associato ai metamoro: mi spiego, anche a me piacciono le congetture, però: ogni volta che Ermal è con qualcuno che non sia Fabrizio, lo si vede triste o non a suo agio (opinioni, eh, ma a me sembra che a Bilbao si sia divertito. Forse sbaglierò, chesaccio). Se Fabrizio ha uno splendido rapporto con Niccolo, non va bene o si fanno continui raffronti, perché solo
a Ermal deve mostrare affetto. Se Ermal ha altre amicizie al di fuori di Fabrizio, tipo Drigo, col quale da anni coltiva una bellissima amicizia, no, non è lo stesso, solo con Fabrizio Ermal si comporta in un certo modo o i complimenti che gli rivolge non sono gli stessi. Questo è quello a cui mi riferisco. Perché è diventata una mania. Cercare in ogni caso un riferimento all'altro. Sono 2 artisti, solisti, ogni loro gesto non deve essere per forza ricondotto all'altro. E' questo quello chereputo esagerato. ma mi riferisco ai social, non a tumblr (a meno che le stesse cose vengano riproposte anche su instagram o twitter, non so). Mi sembra che si cerchi di togliere loro il respiro, come il fatto che ogni giornalista debba chiedere a Ermal se sente Fabrizio o altro. Il loro rapporto è bello proprio perché naturale, non dettato da esigenze di fama o altro. Per questo parlo di ossessione. E per questo sarò contenta quando il fenomeno metamoro scemerà
Adesso capisco, anon. E...beh, diamine: sono d’accordo al 100%, le cose che hai citato danno moltissimo fastidio anche a me, e so per certo che danno fastidio anche ad altri. Non sei sola, proprio per niente. Certe uscite su Bilbao sono state...imbarazzanti, a dir poco. Non mi riferisco agli scherzi sulla questione dei capelli, ma a quella colossale sciocchezza di Ermal depresso perché viaggiava con un altro, perché pensava a Lisbona, yadda yadda e rolleyes pt. 2. Lo scrissi pure allora: l’angst solo nelle fanfiction pls. Anche a me sembrava normalissimo e sono sicura che si sia divertito. Poi è OVVIO che non fosse over the moon come a Lisbona, vorrei ricordare che a Lisbona era con un amico e collega con cui stava dividendo un’avventura nuova per entrambi, ed erano freschi di vittoria a Sanremo, e stavano raccogliendo i frutti di un lavoro durato mesi. Voglio dire. I paragoni stanno a zero.I continui confronti con gli altri amici e colleghi sono una di quelle cose che cerco di evitare il più possibile, per esempio. Perché spesso diventano poco rispettosi di questi ultimi. Si vuole cercare a tutti i costi di “elevare” sul piano dell’amore romantico assoluto e totalizzante il loro rapporto nel modo peggiore: sminuendo tutto il resto. I SENTIMENTI UMANI NON.FUNZIONANO.IN.QUESTO.MODO. Opinione impopolare anche questa, aggiungiamola alla lista.Altri confronti che odio, ANCHE nelle fanfiction perché davvero, non ce la faccio: i confronti con le ex. Non sopporto che vengano infilate a forza nella ship, generalmente per ricoprire il ruolo di quelle che pensavo fosse amore invece era stocazzo. La trovo una cosa crudele. Ma è un problema mio. Non so tu come la vedi, io non riesco proprio a digerirlo, mi dà fastidio e quindi quando avverto il pericolo NOPE, torno indietro. Scusate, ragazzi. Non ho capito questa parte: “ma mi riferisco ai social, non a tumblr (a meno che le stesse cose vengano riproposte anche su instagram o twitter, non so)”, ti sei inavvertitamente contraddetta, credo.Non è che gli si vuole togliere il respiro, è che - purtroppo - molti (giornalisti e pubblico generico compresi) non accettano questa situazione che percepiscono come “indefinita”, perché non incasellata negli stereotipi banali e rassicuranti dell’amicizia e/o del rapporto professionale. Vogliono che sia altro, qualcosa di più familiare. L’amore romantico, per esempio, o il desiderio sessuale. Che viene posto in contrapposizione alla “””semplice””” amicizia. E partono i cori: gli amici non si guardano così! (e chi lo dice?) Gli amici non si toccano così! (ah no? E perché?) Gli amici non fanno questo e quello! DEVONO essere innamorati! DEVONO, capisci anon? DEVONO, perché altrimenti “i segnali” (ci fu un anon che mi scrisse questa cosa dei “segnali”, mi è rimasta impressa) erano sbagliati, anzi peggio: loro ci hanno presi in giro. Molti non si “accontentano” di fantasticare. Non basta più. Deve essere vero, ce lo devono dire altrimenti era tutto falso, tutto un inganno. Ora, qui su Tumblr non siamo a questo livello. Anche i più fermi sostenitori dello shipping in canon che si trovano qui sono persone tranquille, si comportano in maniera molto rispettosa, va bene così. Sono io che sono troppo dura, molto spesso. Ho scelto una posizione piuttosto rigida, sono fatta così, non trovo convincente il concetto stesso di “shipping in canon” su qualcosa che, piaccia o no, non è canon ma solo fanon. Non piace? Pazienza, ci sono tanti modi di non leggerla nemmeno, la mia posizione. Anzi, di non vedermi proprio. Non ne scrivo più in nessun altro posto che qui. Ognuno scelga di credere a quello che vuole, purché ci sia del rispetto per loro.Perché, come hai detto giustamente tu: “Il loro rapporto è bello proprio perché naturale, non dettato da esigenze di fama o altro”. Hai ragione, è la pura verità.Mi dispiace che tu sia giunta al punto di desiderare la fine del fenomeno o almeno che passi il boom. Non è né giusto né sbagliato, è il tuo sentire e va bene così.
#opinioni impopolari#ma neanche troppo#canon vs fanon#ultimo post non taggato#blacklistate le tag precedenti se vi urta il discorso#Anonymous
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in questa settimana, da donne che hanno l'interesse a corteggiare e legare a sé un pubblico e di attirarne altro con le loro argute e largamente condivisibili opinioni impopolari, a vantaggio delle loro attività, ho imparato che soffro di psicosi, misandria e sessuofobia.
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“Sono io quella indelebile”. Marguerite Duras, ovvero: la scrittrice che ha profetizzato l’avvento della letteratura su Internet
Marguerite Duras, il cui romanzo del 1984 L’amante viene talvolta ritenuto opera di autofiction, tende a ripetersi. “La storia della mia vita non esiste”, scrive ne L’amante. “Proprio non esiste”.
Tale tendenza fa sentire la sua scrittura immediata. Perché usare una nuova parola, quando quella già usata funziona bene? Il contrario di incerta, impacciata; una scrittura in cui è evidente l’impiego dei sinonimi, che mostra ai lettori il proprio impegno. Anziché rimuginate e indebitamente analizzate, le emozioni si avvertono, immediate. È come se fossimo dentro la sua mente, che vacilla, indugia, esplora.
Probabilmente la Duras sarebbe stata a suo agio online. Nonostante sia morta nel 1996, proprio quando internet stava sorgendo, il suo approccio a scrivere pubblicamente di sé stessa presagisce blogger, saggisti e account, che tentano di fare lo stesso.
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In una raccolta di suoi saggi appena tradotti in inglese, Me and Other Writing, Duras è sfacciatamente auto-interessata. Di sua madre scrive: “Non è lei l’eroina principale della mia produzione artistica, nemmeno quella più indelebile. No, sono io quella indelebile”. Anche quando descrive eventi politici, come gli scioperi degli operai in Polonia del 1980, lo fa attraverso aneddoti personali. Pensa di chiamare un amico, ma teme che la reazione sbagliata, ossia una reazione che non corrisponde alla sua, possa farla sentire alienata, sminuendo il significato delle notizie. Allora chiama una compagnia aerea polacca, chiacchiera con uno sconosciuto, si intendono l’uno con l’altra, entrambi commossi, riattaccano.
Tutto ciò potrebbe sembrare narcisistico, o quanto meno egocentrico, e forse lo è. Ma è anche altro: un riconoscimento della propria soggettività, l’incompletezza della propria esperienza e prospettiva. Pur essendo sfrontata, non è asfissiante, non si dichiara onnisciente. La conoscenza assoluta l’ha solo di sé stessa, spesso nemmeno quella. “È solo la mia opinione”, sembra voler dire. E questo le dà la liberta di dire tanto. Così scrive di sua madre, di Flaubert, di un processo per omicidio, della moda prêt-à-porter (una risposta all’elitarismo dell’alta moda, sostiene lei).
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Scrive dell’apocalisse e di quanta tv guarda (“La televisione non è niente, niente”, dice. “Eppure la guardiamo lo stesso, e la guardiamo insieme al resto del paese, ascoltiamo le stesse cose nello stesso momento. E impariamo anche delle cose insieme, che non è poi così male”).
Pare che il saggio personale nella forma odierna, una fusione di aneddoti e cultura popolare, talvolta scritto di fretta, talvolta con una tesi appena accennata, a seconda della destinazione, non sia un mero prodotto di internet e delle app che lucrano sulla condivisione. Era, per Duras, una modalità di scrittura scelta deliberatamente. Scriveva sui periodici per avere un guadagno e, in secondo luogo, per sperimentare quello che lei riteneva il mondo più sociale della saggistica, e si accostava alla politica, alla cultura, al crimine e alla moda. Eppure la sua opera è rifuggita ai loghi, ai fatti fondanti e ai dettagli, preferendo le libere associazioni.
Forse l’affinità più saliente tra la sua opera e la saggistica in rete è la tendenza a non soffermarsi troppo a pensare, e di affidarsi invece a qualsiasi associazione del proprio subconscio, ogni qualvolta decidesse di sedersi e scrivere di getto.
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“Ho il linguaggio a mia disposizione,” scrive Duras nel saggio breve “Flaubert c’est…”, un testo che inizia come una critica e poi si espande in una serie di improvvisazioni e meditazioni. “È quando ho smesso di lavorarci che l’ho trovato a mia disposizione. Quando lavoravo troppo sui miei libri, non era a mia disposizione”. Questo atteggiamento laissez–faire funziona quando sei tu il soggetto. “Devi lasciarti andare”, continua Duras, “perché non sai nulla di te”.
Per lasciarti andare però devi avere qualcosa a cui aggrapparti, un corpus di conoscenze raccolto nel tempo, grazie alle letture e all’osservazione. Altrimenti la scrittura spontanea corre il rischio di essere superficiale. Duras era una lettrice avida, accumulò riferimenti e suggestioni. Forse per questo, invece che approssimative e superficiali, le sue riflessioni improvvisate sono solide e dirette, e toccanti nella loro schiettezza. Per dirlo con le sue parole: “È quando l’intelligenza è all’apice del suo potere che si acquieta. E allora fluisce la scrittura”.
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I social media sono sia effimeri che permanenti. Li pensiamo come una forma di dialogo, informale, fluido; eppure consideriamo i post come delle dichiarazioni. Tutta l’opera di Duras, e, in particolare, i suoi frammenti di saggi pubblicati nei giornali ci incoraggiano a premere invio, a pubblicare le nostre bozze.
L’altro rischio che si corre con i pezzi veloci, scritti per il consumo pubblico è quello di sbagliare. Chi scrive su internet conosce bene lo scenario: lettori pedanti infastiditi da un errore di battitura, lettori insolenti, lettori benintenzionati, lettori in cerca di qualcosa da criticare. Su Twitter la revisione non è contemplata, ma cancellare è una pratica comune. L’etichetta a riguardo è torbida: si cancella perché si è troppo preoccupati a salvare la faccia? Forse su Twitter sarebbe meglio pubblicare le correzioni in appendice, come sui giornali? O gli utenti devono poter controllare la propria immagine pubblica, almeno sui social? E invece i post che non sono scorretti o offensivi, ma imbarazzanti per chi li pubblica, un giorno, una settimana o molti anni dopo? Opinioni impopolari che ormai non ci appartengono più, battute infelici, foto degli ex, svenevoli descrizioni sotto le foto delle vacanze. Le cancelliamo, così da presentare ai nostri amici e follower un’immagine, un marchio, coerenti? Le lasciamo, a testimonianza del nostro caos e della nostra malleabilità? Preoccuparsene è da egoisti?
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Quando seppe della morte dell’uomo che le aveva ispirato L’amante, Duras scrisse un secondo resoconto della relazione illecita, intitolato L’amante della Cina del Nord. Narrato in terza persona, più distante, più fosco. Nel secondo libro l’autrice si riferisce al primo, l’effetto è che le emozioni sembrano stratificate. I sentimenti che provava esistono ancora, ma ne sono stati aggiunti altri. Sull’oggetto del proprio amore, un uomo d’affari molto più grande di lei, scrive: “È un po’diverso da quello [de L’amante]: è un po’ più massiccio dell’altro, meno spaventato dell’altro, più audace. È più bello, più vigoroso”.
Nel riscrivere, non corregge il racconto precedente per aggiungere nuovi avvenimenti più precisi, altri sentimenti e informazioni. Come se fosse un critico, o uno studente, valuta le proprie percezioni passate quali artefatti del tempo in cui li aveva scritti. Si dice che stesse per intitolare il libro L’amante revisionato. Non condanna il passato, non lo cancella, non lo corregge. Lo ripercorre. Lo ripete. Lo racconta di nuovo, e nonostante i fatti narrati siano gli stessi, la struttura è un’altra, riflette chi è lei adesso.
Nel narrare e rinarrare le sue storie, consentendo a entrambe le versioni di esistere nel mondo, Duras mette il suo io del passato e quello del futuro uno accanto all’altro, rappresentando un’immagine sfaccettata di sé, non un marchio, o un monolite. Dietro di sé ha lasciato un registro pubblico del suo caos, il suo io mutevole. Se si è accorta di aver sbagliato qualcosa, lo ha ripercorso, lo ha detto di nuovo. Nel farlo, non ha cancellato. Ha aggiunto.
Questo non vale solo per i suoi romanzi, ma anche per i suoi brevi articoli sui periodici. “L’ho già detto e lo dico di nuovo. Non è mai lo stesso. Le cose devi dirle più volte”.
Maddie Crum
*L’articolo, come “Marguerite Duras: Internet Essayist?”, è stato pubblicato su Literary Hub; la traduzione italiana è di Valentina Gambino
L'articolo “Sono io quella indelebile”. Marguerite Duras, ovvero: la scrittrice che ha profetizzato l’avvento della letteratura su Internet proviene da Pangea.
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Ma vi sentite migliori quando siete stressati? Perché io non vi capisco. Sembra sempre di essere entrati in una qualche competizione su chi ha dormito meno ore nell’ultima settimana, su chi è riuscito a rovinare più rapporti a causa della mancanza di energia e quante ciocche di capelli abbiamo perso per il nervoso. Ah, tu hai solo due chiazze pelate sulle tempie? Sicuro di lavorare abbastanza? Come se il livello di esasperazione generale fosse indice del nostro successo, e se arrivi a trent’anni con tre ulcere e un paio di esaurimenti nervosi coi controcoglioni allora significa che hai vissuto la vita come si deve. Se poi finisci internato è il massimo. Trovami uno stronzo che non misuri la sua produttività in base a quanto vorrebbe lanciarsi sotto un treno in corsa e fammi fare qualche test. Fammi entrare nella sua testa e fammi sequenziare il suo codice genetico perché abbiamo fra le mani una bestia rara. Potremmo tirarci fuori la migliore pubblicazione da dieci anni a questa parte, inizia a scrivere. Io sono la prima a dire che la vita sia sostanzialmente una successione di sbattimenti e imprevisti spiacevoli con qualche punta di soddisfazione qui e lì, che se la vita fosse un risotto con la salsiccia cucinato per venti persone con risparmio sugli ingredienti i chicchi di riso sarebbero le cose da fare e i rari pezzi di carne da estrarre come un archeologo estrae monetine dalle macerie le motivazioni per farle. Non sono uno di quei personaggi new age su instagram che si mantiene facendo foto a ciotole di insalata con semi non identificati mentre predica la calma e la pace esistenziale a noi bastardi costretti a fare qualcosa di più impegnativo per andare avanti, non propino lezioni di vita di dubbia concretezza mettendo in mostra la sedicente perfezione della mia quotidianità. Metà del tempo lo passo a inventarmi ragioni per non mollare tutto e finire a sbronzarmi in qualche locale deprimente, quel che cerco di dire è che non ho grandi suggerimenti su come essere felici, ma almeno sono onesta a riguardo. Trovo solo curioso come a un certo punto stare male sia diventato sinonimo di normalità per tutti quanti ma continuiate a dirmi che sono una persona negativa quando suggerisco che essere mediamente miserabili sia una costante nell’esperienza di vita da esseri umani.
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